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IL PROGETTO

dell'ampliamento delle Gallerie dell'Accademia

L’AMPLIAMENTO DELLE GALLERIE DELL’ACCADEMIA

 

 

Il tema principale posto dall’ampliamento delle Gallerie dell’Accademia è per Tobia Scarpa riuscire ad afferrare l’attenzione del visitatore, anche il più distratto, accompagnandolo in una visita idealmente guidata. Proporre al visitatore un percorso di continuità tra uno spazio storicizzato e uno spazio contemporaneo è un tema progettuale di grande suggestione e, al contempo, di estrema difficoltà. Le relazioni tra gli spazi della Pinacoteca storica, esistente al primo piano, e il grande ampliamento costituito dal piano terreno del complesso della Carità, ormai liberato dall’attività della Scuola Accademia di Belle Arti, che si è trasferita nel 2004 presso la nuova sede nel complesso cinquecentesco degli Incurabili alle Zattere, diventano il nucleo essenziale di una ricca e contrastata riflessione architettonica. La richiesta a Tobia Scarpa perché accettasse di lavorare a questo progetto è senz’altro determinata anche dall’estrema complessità del contesto dove si trovano gli edifici progettati da Andrea Palladio, Gianantonio Selva, Antonio Maccaruzzi e Carlo Scarpa.

 

“Non volevo fare questo progetto e le ragioni emergono dal fatto che le parti di arredo delle gallerie, per chi capisce e conosce la difficoltà di allestire lo spazio per capolavori di grande qualità artistica, opera svolta da mio padre negli anni passati, ponevano un confronto che ho sempre cercato di evitare non per timore reverenziale, ma per il grandissimo sforzo personale che questo avrebbe comportato. Ritengo che le scelte fatte da mio padre, quasi cinquant’anni fa, siano state operate puntualmente nella presentazione dei vari maestri e siano ancora oggi da portare ad esempio per l’assoluto rispetto e il grado di sensibilità per la lettura dell’opera. Ma questi erano altri tempi. Il paesaggio che ci si presenta oggi, nel quale ci troviamo ad operare, è completamente mutato e l’obbligo che ne consegue volendo mantenere quanto detto, è quello di vedere la pratica progettuale con un’umiltà che deve esser pari alla complessità del lavoro in modo che sotterranee e mal riconosciute velleità non affiorino con stonature improvvise.

La fortuna che assiste i poveri di spirito è stata quella di avere dei meravigliosi compagni di viaggio sui quali, abusando, ho appoggiato le mie debolezze per le correzioni. Questo comporta che nella lettura di questo progetto venga tenuto buon conto del lavoro svolto da un gruppo di persone in cui ad ognuno è dato il proprio campo operativo nell’assoluta libertà di decisione, ma nel contempo, a tutti va riconosciuta la capacità, attraverso un dialogo serrato, di portare a compimento quel tema così complesso che è l’aspetto formale di un’architettura in cui si devono coagulare le soluzioni funzionali.

Alcune importanti questioni tecniche ci hanno anche indotto ad ampliare il campo strettamente progettuale del nostro tema per invadere l’ambito della progettazione industriale. E’ il caso della ideazione e realizzazione delle macchine per il condizionamento e degli apparati per l’illuminazione. Questa evasione di campo, nella prassi del mio modo di lavorare, diventa essenziale in quanto mi permette di definire meglio l’aspetto formale del percorso progettuale. Intendo dire che non è il concetto di bello che produce il bello ma la complessità dell’armonia tra sé stessi e le cose. Dunque, anche il tema, forse marginale ma necessario, di come dovrò illuminare le opere d’arte e in quale maniera le proteggerò. E’ un lavoro che esula dalla progettazione e diventa sperimentazione: un percorso che è stato possibile seguire fino alla fine grazie alla generosità che nasce spontaneamente come quando un individuo incontra un suo simile. In questo caso l’incontro è avvenuto con le aziende che hanno collaborato con noi fino all’esaurimento del tema, producendo una significativa comprensione del fenomeno dell’illuminazione e del controllo dell’ambiente. Ricerca e progetto continuano, ancora oggi, portando al perfezionamento dei risultati.

La macchina per la climatizzazione che abbiamo progettato, ad esempio, è calibrata sui limiti nei quali deve funzionare l’apparato filtri umidificatore. Il sistema sul quale si basa la funzione dell’umidificare è integrato con delle membrane di porcellana che vibrano ad altissima frequenza e che quindi frantumano l’acqua priva di depositi e la immettono nell’ambiente mentre i filtri a 3 diversi livelli permettono il controllo dell’ambiente e la pulizia dell’aria. Il prototipo è già stato sperimentato e impiegato in un piccolo museo a S. Giovanni Valdarno (Arezzo) nella casa del Masaccio dove, in occasione del VI centenario della nascita, l’Amministrazione Comunale ha realizzato un progetto globale per la riqualificazione del Museo in Val d’Orcia. Gli ambienti sono difficili da climatizzare perché sono di piccole dimensioni, ma le risposte ai test eseguiti ci mettono tranquilli sui risultati e l’efficacia del sistema.

Il tema illuminotecnico si è dimostrato particolarmente complesso e suscettibile di continui aggiustamenti. Per esempio, è recente l’adozione nei corpi illuminanti di un assorbitore di raggi parassiti e l’aver scoperto che l’angolo di apertura del corpo illuminante più è stretto più rende stupefacente le resa. E, ancora, è di grande interesse aver verificato che l’adozione della mobilità per 360 gradi sui 3 assi cartesiani nella direzione delle luci permette di illuminare non solo l’opera, ma lo spazio che a sua volta emerge come opera in sé. Molto spesso, possiamo dire con rammarico,** “nulla conosciamo completamente”. L’esperienza derivata dalle molte prove che abbiamo fatto, approfittando di occasioni straordinarie come le mostre temporanee, allestite alle Gallerie dell’Accademia, illuminando i capolavori di Carlo Crivelli e di Giorgione, ci ha permesso di identificare come opera anche l’ambiente che li ospita, mostrandone effetti e relazioni stupefacenti. Uno stupore che riguarda anche l’atteggiamento verso gli elementi di supporto delle opere in quanto esprime la relazione tra luce, opera, ambiente e il fondo, anche se, a questo proposito, le scelte devono essere perfezionate.

Una scelta che ritengo molto sofferta, ma decisa, è quella di avere dei pavimenti grigi nelle nuove sale espositive per diminuire le dominanti cromatiche indotte dall’ambiente che molto spesso, per chi coglie queste sfumature, devono essere corrette dai fondi sui quali riposa il quadro. Va anche detto che ogni epoca richiede valori cromatici definiti in quanto le opere giocano sui timbri e sui colori definiti dal gusto dell’epoca. Bisogna assecondare questo effetto, non si può creare uno spartito a priori, ma di volta in volta mettere a proprio agio l’ospite. Credo che questo, poi, sia il percorso che anche mio padre ha seguito. Non so se incontreremo delle opere così importati nell’immaginario collettivo e tali da dover concedere il posto d’onore, ma in quel caso verranno sviluppate soluzioni particolari, adatte ad esporle nelle migliori condizioni possibili.

Con il nuovo assetto distributivo del museo, l’articolazione dei percorsi fluisce su due piani in maniera agevole offrendo spazi di riposo in luoghi privilegiati come l’ampio cortile interno con la vista della facciata palladiana.

Questo luogo vicino alle movimentazioni verticali e ai servizi è il punto di snodo al fianco del quale si trova l’attività delle mostre temporanee con entrata e percorso autonomi già offerti dall’ingresso che era della scuola d’arte e dalla distribuzione dell’edificio. La difficoltà incontrata e le soluzioni proposte faranno capire quanta attenzione e quanto tempo abbiamo dedicato ai percorsi dei visitatori anche disabili per i quali, al piano superiore, abbiamo progettato una macchina di sollevamento, assolutamente non invasiva in maniera di non modificare e comunque non obliterare l’allestimento precedente. Perché il leit motiv del nostro lavoro è stato quello del rispetto basato sull’affetto per il luogo e le opere oltre che sul rigore scientifico. Pensiamo di esserci riusciti.

Lo spazio dedicato alle mostre temporanee si articola in molte e varie possibilità espositive perché i locali sono disimpegnati completamente, comprendono un’aula per conferenze o per piccoli concerti, un servizio di informazione, biglietteria e deposito vesti e borse. Il corridoio che distribuisce queste funzioni, maltrattato in passato, sarà completamente nobilitato da un progetto tecnico in cui i dovuti fondi a marmorino saranno stesi su supporti speciali, appositamente studiati, che permetteranno l’aereazione dei muri. Questo sistema permette di conservare le antiche murature, anche se hanno un’elevata percentuale di umidità, escludendo l’adozione di un taglio meccanico e, tuttavia, garantendo che le malte strutturali non collassino. Una scelta, un po’ sofferta, riguarda lo splendido tablino palladiano che viene escluso da un percorso diretto per poterne ammirare la somma qualità architettonica.

A fianco del tablino troviamo le sale palladiane che saranno conservate e integrate. Attualmente i muri e le volte senza intonaco con stilature a cemento mettono perfino a disagio e la nostra sensibilità non può che vibrare all’unisono nell’intento di restituire al tutto la grande qualità delle superfici ricoperte da splendidi marmorini.

Un altro tema di studio è stata la zona dell’ingresso in cui il vero problema era far convivere due stili e visioni di vita completamente diverse: l’ampia sala di origine trecentesca della Scuola Grande e la facciata attuale che risale al 1830 per opera di Francesco Lazzari, allievo di Giannantonio Selva all’Accademia, facciata che come una vecchia signora mette il soggolo per nascondere le rughe. Fortunatamente le tecniche costruttive del passato erano più sagge delle nostre e il livello del soffitto realizzato alla metà del ‘700 da Bernardino Maccaruzzi, che copre le travature antiche permette il recupero e l’abbattimento del muro che separa i due vani. Una cesura sagomata permetterà di far convivere le due opere facendo capire l’antichità del soffitto che si coniuga con il controsoffitto del presente. Nella grande sala di accesso, ottenuta recuperando i suoi valori spaziali originali, poniamo le funzioni necessarie a un ingresso museale vendita dei biglietti, informazione, bookshop e deposito abiti.

Il percorso ha, dunque, inizio al piano terra del complesso nei vani che seguono la grande sala di accesso che, tra l’altro ospitano anche sul lato verso il cortile attiguo un laboratorio didattico, e prosegue fino ad arrivare ai grandi saloni del Selva. E’ qui che si presenterà il vero grande effetto dell’ampliamento delle Gallerie in quanto lo spazio non frantumato permetterà una grande esposizione di opere anche di notevoli dimensioni.

L’alloggiamento di tutti i servizi e apparati tecnologici è forzatamente collocato nell’interrato del cortile palladiano. Per garantire l’aereazione e la difesa dall’acqua alta per la quale sono stati progettati particolari dispositivi, oltre a delle provvidenze estreme quale la chiusura con paratoie, sono state studiati dei falsi piedistalli che porteranno lacerti di architettura veneziana di varie epoche, ma che in realtà consentono di arrivare all’aereazione naturale in quota a 2 metri sul livello medio mare. Va ricordato che la marea massima registrata ha raggiunto quota 1.90 m una quarantina d’anni fa e che si confida di non superare mai più questo livello.

Dopo aver superato l’ala del Selva e percorso l’edificio di Andrea Palladio, si giunge ai nuovi collegamenti verticali che si collocano su una vecchia corte rimaneggiata nel tempo con copertura a vetrocemento. E’ l’unico posto vulnerabile dell’edificio che, non senza coraggio, è stato destinato alla costruzione del nuovo vano delle scale e degli ascensori. Infatti, pur esibendosi nello spazio preesistente, essi tendono a non toccare in nessun punto i volumi architettonici. Inoltre, considerando che il già pesante flusso di persone aumenterà proporzionalmente alla nuova grande fortuna delle Gallerie, le scale e gli ascensori sono di dimensioni sicuramente per Venezia straordinarie. Il carattere materiale del vano ascensore avrà decori adeguati per gioco di materiali e di colori tali da risultate una unità formalmente conclusa e isolabile dal contesto.

Infine, va sottolineato che rispetto alla situazione attuale i percorsi sono stati invertiti e il vano ascensori e scale permetterà la visita dei depositi collocati al secondo piano dell’ala palladiana. Questi, insieme al gabinetto dei disegni, verranno riorganizzati e quindi offriranno la possibilità di vedere un numero sicuramente grande di opere ancora poco conosciute” .

Architetto Tobia Scarpa

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